Festa di San Michele - Carmignano - Prato


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Bianco 2008

2008

presenta:

"Se solo si aprissero le porte della notte"

INTRODUZIONE - Nel ripercorrere la storia di Carmignano ci siamo spesso imbattuti in storie di personaggi più o meno importanti che hanno definito la nostra realtà locale. Personaggi come Alberto Moretti, Augusto Novelli, Quinto Martini, Florio Londi, Musciatto Franzesi, e altri; ma poche volte l'attenzione si era fermata su Don Benvenuto Matteucci. Ne è seguito un dibattito, un confronto, e la curiosità ci ha preso la mano. Definire la sua storia è stata una vera e propria sfida: c'era qualcosa in lui che ci incuriosiva. Come bambini mossi dall'inesperienza, sotto la guida di chi l'ha conosciuto, ci siamo messi alla ricerca delle testimonianze, delle fotografie, delle lettere, e come bambini abbiamo cercato di osservare con occhi nuovi e pieni di stupore il materiale che si andava raccogliendo. Per questo abbiamo voluto dedicargli un'intera sfilata, articolata in una serie di quadri temporali. Il primo è quello dell'oggi, settembre 2008, dove avviene la nostra narrazione; il secondo, l'anno in cui ha cominciato a scrivere il suo ultimo testamento spirituale, il 1988, dentro cui si articolano, come tanti flash-back, i ricordi delle epoche della sua vita, raccontate nelle successive scene. Da queste si torna nuovamente al 1988, e quindi all'oggi. Nel testo della sfilata abbiamo inserito alcuni brani scritti da Matteucci e spiegati da una narratrice, il rione, che chiarisce alcuni passaggi della storia, dei sentimenti e degli avvenimenti della sua vita. Tra i testi scelti spicca il testamento spirituale, scritto a cinque anni dalla morte e diretto a tutti i Carmignanesi. Un testamento per riscoprire insieme l'amore per questa terra e l'orgoglio di esserne abitanti. Un testamento per rinsaldare l'affetto incrinato dai molti anni di lontananza, e per sanare la solitudine di un ultimo periodo segnato da cicatrici morali e fisiche. Da quella buia notte di settembre di venti anni fa in cui finì la stesura del testamento ci auguriamo che escano ancora intatte le stesse parole e le stesse emozioni, "Se solo si aprissero le porte della notte"...

"...LE PORTE DELLA NOTTE" - E'il modo con cui quest'anno abbiamo rappresentato il nostro rione: la portabandiera con un bambino, l'anima innocente con cui ci apprestiamo a scrivere una nuova e avvincente storia. Questi dopo essersi congiunti, finalmente riuniti, ci conducono, tenendoci per mano, verso quella notte di venti anni fa, quando un uomo anziano, apparentemente comune, stava scrivendo il suo ultimo addio. L'oscurità è rappresentata da figure enormi, opprimenti, e da altre più piccole che si muovono fugaci come ombre. Una notte di paura, di tristezza, in cui si avverte però la possibilità di poter tornare. Due persone incappucciate si alzano dalle tribune; erano sedute tra noi, perchè anche loro, un tempo, sono appartenute a questa realtà. Si dirigono verso la piazza, dove rivelano la loro identità: Matteucci e la sua anima, il suo spirito, anch'esso imprigionato nell'oblio. La notte viene vinta, e dal nero della dimenticanza emerge il ricordo di personaggi che un tempo hanno popolato quell'universo carmignanese e che furono testimoni del periodo in cui Matteucci visse a Poggio alla Malva:
"Vivo in un paesetto a terrazza sull'Arno, a tre passi dalla città. Cinquecento persone circa. Un migliaio di occhi che si aprono ogni giorno, per guardare, curiosare; metà di bocche che parlano: parlano dovunque. Il paese è disteso in processione sulla collina. Una piazza e la chiesa lo circoscrivono. [...] Chiesa e piazza, piazza e chiesa formano il mio paese, sono i termini della mia grande famiglia."

I COLORI DEI RICORDI - Matteucci abitò quasi trent'anni nella piccola parrocchia di Poggio alla Malva, a qualche chilometro da Carmignano. Trent'anni in cui immaginiamo un personaggio cresciuto tra le stesse persone che vedeva tutti i giorni parlare, lavorare, impegnarsi, vivere. Quelle persone di un paesino di 500 anime appena. Quei ricordi, quei volti appaiono prima un po' sfuocati, privati della vita, delle emozioni, imprigionati nel passato; poi finalmente prendono vita attraverso le ali di coloratissime farfalle, prima custodite dalla memoria, una figura nera, minacciosa, ma benevola.

"Dopo anni di lontananza si ritorna al proprio paese con nostalgia e malinconia. Si teme che tutto sia cambiato, che niente sia più come prima. Ma poi ci si rallegra nel rivedere un bosco, un campo d'ulivi, una querce, un ruscello. La magia dell'infanzia e della giovinezza rivivono in noi sempre più sensibili al cuore con l'incanto di giorni ricchi di colori e di luce, come i colori delle ali di tante farfalle."
Sono le farfalle a portare i colori delle emozioni, degli anni prima della guerra, a ridare un nome a quei volti. Tra quei ricordi spiccano sul carro anche i colori di dieci affreschi inspiegabilmente staccati dalla chiesa di Santo Stefano alle Busche e trasferiti a Firenze. Di Poggio alla Malva, Matteucci fece la sua "culla delle Muse", e vi invitò alcuni intellettuali tra cui Papini, Bargellini, Soffici, La Pira, Ungaretti e altri.

LA "MANO" DELLA GUERRA - Quel paradiso, quel magico incanto, sfumò per sempre, e la guerra arrivò anche a Poggio alla Malva. I colori furono cancellati, e tutto si ridusse al contrasto di bianco e nero, di tenebra e luce. Le farfalle, impaurite dagli assordanti rumori scapparono, trascinandosi via i bei momenti che avevano portato; nel paese rimase solo il dolore, la paura, la sofferenza. Le ballerine, con vestiti tratti dalle uniformi dei soldati, cercano, armate di bastoni, di aggredire, separare e dividere madri, padri, figli, fratelli. La guerra è rappresentata sul secondo carro come una mano nell'atto di ghermire, afferrare, distruggere. Donne, uomini, vecchi e bambini, atrocemente puniti per crimini non commessi. Quando finalmente quell'inferno finì dopo tre anni di atrocità, celebrarono la prima festa: il Natale del '45.
"Alla fine il paese sembrava un presepe di rovine. I tetti, le case, la chiesa, erano semidistrutti. Ma quelli si potevano ricostruire: non si poteva nascondere la violenza e le barbarie subite. Festeggiammo la notte di Natale del '45, la prima vera festa che vivessimo da tre, forse quattro anni, la prima dopo l'inizio della guerra."

LO STUDIO DI PISA - La vista di questo spettacolo e la dura esperienza subita gli fecero dimenticare la bellezza dei paesaggi e i legami che aveva intessuto. Matteucci abbandonò Poggio alla Malva, e viaggiò molto, in Italia ed Europa, prima di approdare a Pisa, dove fu eletto Arcivescovo e Primate di Corsica e Sardegna. Qui realizzò la sua profonda passione: la scrittura. Chiuso nel suo studio si dedicò con forza alla stesura di numerosi testi: saggistica religiosa, critica letteraria, articoli di attualità e di riflessioni sulla morale e sulla esperienza umana. I suoi contributi ricevettero il plauso delle maggiori autorità nazionali ed estere. Questo periodo è rappresentato da quattro strutture formate da libri che, ricomposte insieme sulla piazza, ricreano quello studio caotico per la frenetica attività.

"Finalmente nel mio studio. Libri e fogli dispersi sembrano attendere. Libri nuovi, appena arrivati, intonsi. Libri sgualciti, segnati in rosso e nero ai margini, con sottolineature per appunti. Foglietti, abbozzi di pensieri. E' un operoso alveare che si evolve nel tempo e ricco di vita."
Compare sulla piazza anche Matteucci, che si dirige verso il suo scrittoio dove posa l'arte poetica, la sua capacità di rendere semplice i concetti più complessi, la capacità di descrivere in modo geniale la realtà. Da quel periodo fecondo sbocciarono uno dopo l'altro i suoi capolavori letterari, lasciando una scia indelebile nella storia del pensiero.

IL DOLORE E L'INFERMITA' - Pisa non era la sua vera casa: qui aveva provato la solitudine di chi è lontano dalla propria terra, lontano dagli affetti fraterni. Decise, quindi, invecchiato nel corpo, di tornare a casa, a Carmignano, dai "suoi", dove poter trascorrere in tranquillità gli ultimi anni di vita che gli sarebbero stati concessi. Ma un ictus gli paralizzò la parte sinistra: inviolata dall'infermità rimase fortunatamente la parte destra, con cui poteva ancora scrivere e raccontare la propria esperienza sul dolore:
"Come una maschera il dolore cancella le nostre vere fattezze, e ci rende turpi, quasi irriconoscibili ai nostri stessi occhi e a quelli di chi ci sta vicino. Gonfia a dismisura l'incomprensione verso gli altri, e contro la nostra volontà diventiamo cinici ed egoisti."
Il periodo di soggiorno a Carmignano, gli ultimi dieci anni circa della sua vita, furono aggravati da questo male, dal quale scaturirono poi le pagine più commoventi e struggenti della sua opera: le "Lettere sul Dolore": "Il male di questa mia parte lesa mi riporta a pensare, a riflettere sulla mia vita e sull'esistenza di tutti. Per questo ho scritto un libro sul dolore. Non semplici considerazioni filosofiche, ma dure esperienze provate su di me."
A terra delle ballerine con una maschera rappresentano proprio il dolore, la sofferenza, il male che lo corrodeva notte e giorno. Da questa angosciante situazione trovava conforto solo ammirando il panorama, solo ricordando ciò che aveva passato. Il terzo carro rievoca le poche belle esperienze di quegli anni: le anime angeliche, amiche, che caritatevolmente si sono prese cura di lui nella casa di via Bellini; il terrazzo, contornato da tre cipressi, dal quale amava affacciarsi ad ammirare il paesaggio notturno e la natura di Carmignano nel più completo silenzio, quando ancora le stelle vacillano, e sembrano specchiarsi nella pianura come sulla superficie di un grande lago.

UN NUOVO GIORNO - Siamo giunti al presente, il 1988, quando Matteucci aveva cominciato a scrivere il testamento. Il ricordo bruscamente si interruppe.

Riposta la penna, spostati i fogli, si affacciò alla finestra, guardando, come consuetudine, la campagna addormentata. Stavolta era diverso: oltre le colline, di là da Montalbiolo, dove il cielo si confondeva con la terra, le nuvole si infiammarono, e tutto l'orizzonte si tinse di un rosso vivo. Pochi istanti ed ecco che i primi raggi del sole fecero la loro comparsa, finchè anche il disco dorato si elevò da quelle cime lontane. Gli alberi si inondarono di luce, e qualche raggio filtrò attraverso le fronde. Sulla piazza arrivano delle figure con grandi mantelli blu-notte, accompagnate dalla Luna nella sua veste argentata. Queste cominciano a spogliarsi mostrando vestiti rossi e poi dorati, come i colori dell'alba. All'orizzonte compare il Sole, con una lucentezza straodinaria, da cui poi escono, ancor più luminosi, i raggi.

IL VENTO DEL PASSATO - L'ultimo bagliore se n'è appena andato, quando un caldo vento, come quelli di fine estate, comincia a soffiare. Le fronde degli alberi illuminati dal nuovo sole si piegano come in un ultimo inchino di riconoscenza a Matteucci, segno del loro eterno affetto per questo personaggio:
"Desidero riposare qui, all'ombra di quegli alberi che hanno vegliato nella mia assenza, e che ora scrutano il mio tramonto. La mia anima rimarrà per sempre tra questi dolci pendii, tra queste mura, in un ultimo abbraccio con la terra cui tanto ho voluto bene."
Quel vento che soffia lo spinge nuovamente dentro il nero, dentro l'oblio da cui era emerso per raccontarci questa storia. Accompagnato dalla sua anima, Matteucci si prostra davanti a quel testamento, scritto per tutti coloro che hanno abitato e abiteranno questi colli.
"Spero che la mia gente mi perdoni, che accolga queste mie ultime scuse. Ho trascurato molto la mia terra, questo paese, i volti che mi hanno sorriso. Adesso mi lascerò cullare da questa brezza, da questo caldo vento che mi carezza le guance, per trovare finalmente pace nell'oscurità dei pensieri, augurando che la mia anima continui a vivere tra queste colline..."

EPILOGO In questo breve periodo abbiamo cercato di cogliere i sentimenti più coinvolgenti e abbiamo provato a descrivere con le nostre parole queste emozioni. Non pretendiamo certo di creare un percorso attendibile attraverso la storia di Matteucci, ma di raccontarlo con la stessa voglia e la stessa passione che lui, attraverso le sue opere, ci ha trasmesso. In piazza tornano le figure con cui abbiamo aperto questa sfilata, la portabandiera con il bambino, che depone al centro un fiore, come tributo, come omaggio e riconoscenza a quest'anima che tanto ci ha dato e a cui tanto dobbiamo ancora restituire.

I CARRI, I COSTUMI, LE SCENOGRAFIE, LE MUSICHE, I TESTI SONO INTERAMENTE REALIZZATI A CURA DEL RIONE BIANCO

Foto e contenuti sono liberamente riproducibili dagli utenti, ma con l'obbligo di indicarne la fonte: festadisanmichele.it
Foto gentilmente concesse da Foto Ottica RADAR via Vittorio Emanuele II Poggio a Caiano


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