Festa di San Michele - Carmignano - Prato


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Celeste 2007

2007

Presenta la sfilata

"Mio nonno che si inchina per salutarli…"

Sceneggiatura:
Gruppo regia
Musiche:
Alessandra Trinci e Cecilia Mazzanti
Coreografie:
Cecilia Mazzanti
Corpo di ballo:
corpo di ballo del Rione Celeste, Associazione Culturale "Progetto Danza" di Prato
Costumi:
interamente eseguiti dalla Sartoria Rionale
Progetto e costruzione Carri:
Cantiere Rionale
Voci Recitanti:
Duccio Barlucchi, Leonardo Mazzi, Mara Orfani, Lorenzo D'Amico, Marco di Gregorio, Alessandra Trinci, Niccolò Gelli, Irene Del Bene, Bruno Vezzosi, Sofia Ursitti, Marco Pagliai, Lorenzo Pagliai, Veronica Cinotti, Melania Ursitti, Lisa Angeli
Regia:
Stefano Cinotti, Filippo Faggi, Alessandra Trinci, Monica Attucci, Chiara Fratoni,
Serena Crocetti,Cristiana Mecucci, Alessandro Gelli, Marilena Sarti

Con il più cordiale saluto agli altri Rioni e al Pubblico intervenuto

Premessa
Quando i feudatari uscirono dai loro castelli e diventarono proprietari delle terre vicine, venne loro l'idea di affidare queste terre ad alcuni servi del loro castello. "Voi lavorerete queste terre e dei prodotti ricavati faremo a metà". Il proprietario ci metteva il terreno, il servo ci metteva il lavoro. Tutto era studiato per fare in modo che al colono spettassero tutti i rischi e non avesse tempo per riposare.
Questa organizzazione è durata un millennio. Io ero figlio di una famiglia di mezzadri.
1° Carro: le fasce sociali

Questo racconto potrebbe iniziare con "c'era una volta ….", ma la mia non è una novella, è storia vera dei tempi andati.
Il paesaggio di Carmignano di mezzo secolo fa era più o meno quello di adesso: le colline, qualche villa, l'antico castello, case coloniche, cipressi, un pò di bosco, pezzi di seminativo, ulivi e vigne.
Per le strade c'erano diversi tabernacoli: la madonna della carità, quella del magnificat, quella dei sette dolori con tutte quelle spade infilate nella schiena………..
Le fonti erano molte e da queste sgorgava acqua purissima perché l'inquinamento ancora non esisteva…..ad ogni fonte c'era un bicchiere, quasi sempre sbocconcellato ed ognuno poteva bere quanto voleva e con calma…...
A terra: l'aia
Ero seduto in cima al viottolo e la fonte che mi dissetava nella mia giovinezza èra dietro di me. Davanti la casa dove sono vissuto per tanti anni…. La mia famiglia era mezzadra in quella casa e in quella casa era vissuta per secoli.

2° Carro: la casa contadina
La casa era in mezzo ai campi. Campi di bella terra marrone. Il colore della mezzadria era il marrone, quello bello della terra che cambia da campo a campo, che si trasforma con l'arido e con la caduta della pioggia.
La viottola che partiva dall'aia si ricongiungeva con la strada comunale dopo pochi chilometri.
L'aia appunto. Da bambini giocavamo sull'aia, ma insieme al gioco c'era il lavoro. A scuola si andava…si. Ma non tutti i giorni perché in casa c'era bisogno d'aiuto e anche noi piccini facevamo comodo. C'erano tante costruzioni a lato dell'aia che di solito era mattonata e su di essa veniva trebbiato il grano. C'era la capanna dove trovavano posto i conigli e non molto distante il pagliaio per il bestiame. C'era poi la porcilaia e sopra il pollaio. Sull'aia venivano fatti i balli campestri.
E poi c'era il pozzo, che poteva avere l'acqua sorgiva e noi per fortuna ci s'aveva una sorgente d'acqua fresca.
Nei paraggi vi erano il frutteto e l'orto.

E poi la casa dove vivevamo.
La mia famiglia era composta da 13 persone di tre generazioni. I nonni Lorenzo, il capoccia, e Mara la massaia di casa. I loro figli Tommaso, il primogenito, sposato con Maria e Cosimo, il babbo sposato con Rita la mamma. Lo zio Tommaso era il bifolco di casa perché era particolarmente bravo a curare la stalla e gli animali in genere. Lui e Maria avevano 4 figli e io avevo altri due fratelli. I nonni oltre a Tommaso e Cosimo, avevano altre tre figlie, fra le quali la zia Gina, sposate con altri contadini e abitavano in altri poderi.

La nostra casa era al centro del podere e si componeva di quattro camere. Alcuni piccini erano finiti "ai piedi del letto" nella camera dei genitori. Il "fare all'amore" si svolgeva in cucina. Le zie prima di sposarsi, avevano incontrato i loro innamorati lì, sotto l'occhio attento della nonna, la quale, sferruzzava, lavorava la rafia, preparava alcune pietanze per il giorno dopo, ma non perdeva un gesto…...
Qualche volta ci poteva scappare anche un casto bacino.
La cucina era un po il centro della casa e d'inverno vi venivano fatti anche piccoli lavori agricoli, come la pulitura dei salci, cestini per le damigiane, ci si appicciavano i fichi …...

Nella cucina troneggiava "il canto del fuoco" con il perenne paiolo nero o una caldaina piena di acqua calda per i vari servizi domestici e due o più fornelli, con vari treppiedi che completavano il focolare. Non molto lontano dalla cucina, c'era il forno. Il pane era buono per una settimana, mangiabile anche per due. La stalla non era di solito molto distante dalla cucina. La concimaia era fuori. L'agricoltura toscana funzionava con il concio ed il pozzo nero.
Dalla cucina c'era un accesso interno per la cantina. Il vino ero peggio di quello di oggi, aveva una acidità talmente forte che dicevano: " ha il foco". E poi c'era l'acquetta chiamata anche vinello che veniva fatta, facendo rifermentare le vinaccie, dalle quali era stato spremuto il vino, insieme all'acqua. Si conservava bene fino alla fine di giugno, dopo di che "infocava" e veniva bevuto dalle donne e dai ragazzi in modo da poter aumentare la parte vendibile del vero vino ai commercianti. Sul tetto c'era una piccionaia dove i piccioni, pochi o molti, servivano per l'alimentazione e per le vendite ai trecconi. E poi c'era la stanza del vinsanto. Questo "superalcoolico" veniva prodotto con uva appassita ed era messo in caratelli perchè aveva bisogno di aria e caldo per invecchiare bene e concentrarsi
A terra: l'arrivo del padrone.
Arrivava il fattore con la moglie e i figli. Era il giorno dell'arrivo del padrone. Risaliva il viale fiancheggiato da cipressi e alberi da frutto. Non se ne vedevano spesso di macchine qui in campagna. Solo quella del padrone e degli amici del padrone quando venivano a fare festa in campagna.
Dopo un bel pò di attesa si vedevano arrivare.

Ecco la macchina con loro dentro. Polverosi, ma nonostante questo con bei vestiti che noi sognavamo. Il padrone davanti vicino all'autista. Dietro stava un prete, un parente che li assisteva durante la loro permanenza a Carmignano, la moglie, che aveva un grande cappello con un velo che si confondeva con i fiori secchi che lo ornavano e che le copriva in parte il volto. Aveva un bel vestito blu. Per me il blu era il colore dei signori e tutto quello che li contornava era blu.
C'era anche il figlio. Quando scendeva di macchina mi abbozzava un sorriso, ma io quasi non lo vedevo perché ero colpito dal modellino della macchina che teneva in mano. Sembrava quasi la riduzione di quella su cui era arrivato. Ero quasi geloso di quel giocattolo. Poi vedevo i miei genitori. Mio nonno che si inchinava per salutarli e come loro anche gli altri contadini…….
I padroni erano la controparte della famiglia contadina, una controparte mitica, in quanto difficilmente avvicinabile e contattabile. Il Marchese, Conte, Barone, ... molto difficilmente si fermava a parlare con i propri coloni. Si ricevevano tutte le disposizioni tramite il fattore.
Alcuni erano nobili, diretti discendenti dei castellani, un'altra parte commercianti o industriali e c'era anche qualche politico. Alcuni industriali tessili pratesi, qualcuno anche del nord, acquistarono fattorie nella nostra zona, sicuri che la terra è un bene rifugio migliore della cartamoneta.
Viveva in città in un bel palazzo del Quattrocento o Cinquecento, con il maggiordomo e tanta servitù e con i migliori agi possibili, tanto nelle fattorie aveva il fattore che pensava a tutto.
Il nostro era un proprietario assenteista, che delegava tutto al fattore che, più o meno " tangentava" su tutto e si creava propri capitali.
Il padrone viveva nel suo bel palazzo fiorentino, non viveva nel mondo del lavoro.
I suoi figli frequentano i migliori collegi e si sposavano generalmente fra di loro, con membri di altre famiglie nobili o di fortuna industriale o commerciale.
Le loro mogli erano dame di carità e molti prodotti dei "patti" mezzadrili finivano a monasteri ed orfanotrofi.
Alcuni agrari erano cacciatori e si recavano nella loro fattoria , nell'occasione dell'apertura della caccia. Cacciavano ossequiati da fattori, fattoresse, autorità locali …..
Ci potevano essere gite a cavallo nella tenuta, poi bei banchetti e infine ritornavano al loro bel palazzo in città.
3° Carro: la casa degli agrari e la fattoria
La villa dei padroni era usata quando questi venivano a visitare la loro tenuta. Ampia doppia scalinata per l'ingresso, appena entrati un gran salone per le feste, una bellissima cucina con tanti servitori, nei paraggi una bella biblioteca, con tanti libri mai letti. Molti quadri alle pareti, molti, di centinaia di anni. Una bella scala portava al piano di sopra dove c'erano le camere, i letti generalmente con il baldacchino. Gabinetti e bagni che non avevamo mai visto nelle nostre case.
Di fianco alla villa c'era la cappella dove c'erano sepolti uno o più antenati. Distaccare un prete ad una fattoria, ben campato, per la chiesa era una cosa fattibile. Questo consentiva le due o tre settimane in cui i proprietari erano in villa di avere la messa "in casa" (un must dell'epoca).
La villa al piano terra aveva dei locali per la servitù.

Il lavoro dei campi arricchiva quella che era la stanza più famosa di tutta la fattoria, ovvero la cantina. Si favoleggiava su quello che conteneva ed a noi bambini era negato di entrarci. Vi racconto di quello che il nonno, il babbo e lo zio ci dicevano al riguardo. Era una stanza buia dove al posto delle pareti c'erano nicchie che raccoglievano bottiglie di vino, vinsanto e anche di cose che si chiamavano rosolio e orzata. In quello stanzone facevano bella mostra una lunga fila di botti secolari e lo strettoio che serviva per stringere le vinacce dopo la fermentazione dell'uva. Chi forniva la forza motrice, erano prima i coloni e gli animali, dopo l'energia elettrica. Allo stesso piano si trovavano i magazzini per le granaglie, concimi, mangimi, anticrittogamici ecc.e poi vi si conservavano salumi, del suino aziendale, e i prosciutti di spettanza dei patti colonici. Servivano molto bene sia per i pranzi dei padroni e clienti sia ad uso aziendale.
Nei locali sopra alla cantina vi erano degli stanzoni con stuoie per fare appassire il governo. Niente a che vedere con quello di Roma, si trattava di uva scelta che serviva per la rifermentazione del vino.
Nella parte della villa esposta al sole c'era sempre la meridiana , così i coloni potevano confrontare la loro ora (che avevano in testa!) con quella del sole.
Non mancava mai un parco con alberi secolari.
Accanto alla villa c'era la fattoria.
Lo scrittoio, il cervello dell'azienda, era un locale dove venivano i coloni a chiedere o disdettare il podere o a chiedere soldi. Qui venivano ricevuti i fornitori ed i clienti. Era il dominio incontestato del fattore. Il nostro aveva un gilet bordeaux e per me questo era il colore del fattore e del suo mondo.
Il giorno del saldo era un giorno importante. Il nonno si ripuliva e si metteva la giacca e il cappello perché non poteva andare in maniche di camicia. Il nonno entrava nello scrittoio, si levava il cappello e si inchinava. Dietro la scrivania il perito e il fattore e solo qualche volta il padrone. Il nonno portava il libretto e uno uguale l'aveva il fattore e il perito e controllavano se risultava tutto uguale.

Il rapporto di sudditanza era forte. Lo scrittoio non era solo la stanza dei conti, ma il luogo dove si esercitava l'autorità di quella struttura piramidale. Ognuno aveva un suo posto assegnato: la zia Gina, si comprò un bel vestito rosso che aveva desiderato per tanto tempo e lo rinnovò una domenica per andare alla messa. La sua felicità però non durò molto……il fattore mandò a chiamare il nonno per incontrarsi allo scrittoio perché doveva parlargli. Il nonno corse subito alla fattoria, bussò alla porta ed entrò:….."I miei ossequi signor fattore…..", salutandolo con rispetto e riverenza, facendo l'inchino. E ancora:. …."mi dica signor fattore…".Ed il fattore:…. "Ho visto la tua figliola, aveva un bel vestito rosso nuovo, sembrava la fattoressa. Non se lo merita. Digli che non se lo rimetta". Proprio così gli disse il fattore".

A terra: le produzioni. Le colture, i lavori mensili, la rotazione, il tempo.
I mesi si seguivano l'un l'altro regolari e il lavoro nel campo, nell'orto e nella stalla mantenevano il loro andamento con precisa maestria. Nel freddo dell'inverno si riducevano i lavori agricoli e alla sera ci si rintanava nel canto del fuoco. Due o tre famiglie, abbastanza vicine si riunivano in una casa colonica. Ci partecipavano i due terzi delle famiglie e molti ragazzi, che diventavano amici e dopo qualche anno, in tanti casi, sbocciava l'amore. Erano i personaggi dei poderi, gente semplice, onesta e laboriosa.

Gli anziani raccontavano le storie più diverse, legate ai tempi andati e le storie di paura che non facevano dormire i più piccini. I meno anziani parlavano della Prima Guerra Mondiale.
I più giovani della politica e di altri argomenti impegnati. Non veniva trascurato del parlare dei lavori della campagna, del clima, dell'anno prima o se era piovuto di più, dell'andamento dei mercati.
In quelle sere, finiti i fichi secchi da appicciare e che ormai erano stati venduti per la fiera di dicembre, si organizzava il lavoro di tutto l'anno, la rotazione delle colture, i lavori mensili e si parlava dei rapporti con il padrone e il fattore, quello che si doveva dare e quello che c'era di bisogno da chiedere. Mentre i grandi parlavano e le donne, come sempre lavoravano, noi piccini ci raccontavamo le solite filastrocche……
A terra: I personaggi sulla strada. I cercatori di pane, i trecconi, i merciai, i frati da cerca. Chi frequentavano i nostri contadini dell'epoca... ?
Con un vecchio tascapane o borsone, i cercatori di pane giravano le campagne alla ricerca di un pezzo di pane. Alcuni erano dei poveri, davvero molto bisognosi, altri dei barboni ante litteram. Un pezzo del pane contadino veniva dato loro, con alcuni diventava una amicizia che durava nel tempo e ci scappava anche un bel bicchiere di vino.

I trecconi giravano le campagne, acquistavano tutti i generi degli animali da cortile, uova, pelli di coniglio, penne di anatra e di papero. A volte passavano presso la casa colonica due o tre giovani, i quali subito cercavano la massaia. Posti alla sua presenza le presentavano una volpe o una donnola o una puzzola morta. Le spiegavano, mentendo, che l'avevano uccisa nei paraggi della casa e subito la massaia regalava almeno 6 o più uova. In moltissimi casi l'animale era stato ucciso a 2O km di distanza. I giovani continuavano a mostrarlo, fino a che il fetore della decomposizione non consentiva più di portarlo in giro. In alcuni casi veniva venduto ad altri giovani che iniziavano nuovamente la presentazione.
I merciai giravano con un barroccino speciale, fatto tutto a scaffali e cassetti, colmo di tessuti, trine, fili per cucire, cerniere, aghi, ecc. La loro visita era più frequente presso le case dove c'erano ragazze da maritare.

I frati da cerca potevano venire da 100 e più chilometri. Viaggiavano in coppia, prendevano di tutto per il loro convento e per tanti poveri orfanelli che dovevano accudire. Gradivano uova, vino, olio, granaglie e quanto altro venisse offerto. Essi ringraziavano le donazioni con santini di ogni genere che se erano di S. Antonio venivano messi nella stalla a protezione degli animali, se di altri santi in cucina. Fine ed inizio anno regalavano lunari vari che il capoccia andava a consultare con la massima attenzione durante tutto l'anno. E poi ombrellai, seggiolai, arrotino, chincagliere……… Quanti ricordi………..
4° Carro: io ricordo
Con il miracolo economico e la conseguente crisi dell'agricoltura…..ognuno se ne andò per la sua strada e le case dove avevamo vissuto per intere generazioni, nel corso dei secoli, furono abbandonate e riscoperte solo molti anni dopo da chi, pagandole a caro prezzo, cercava tranquillità e il fascino di quelle vecchie mura. E nel 1993 la mezzadria scomparve per legge.

O aratro mio, che baci la terra, che sa di sale,
dalle dolci colline morbide come carezze di velluto
quante volte ho appoggiato il capo su di te;
quante volte ho pianto vicino a te
quante volte ti sei bagnato di lacrime e di sudore come perle lucenti al sole
quante volte hai squarciato la mia terra
e quanta fatica assieme io e te nelle lunghe stagioni di sementa.
Cara vecchia stagione fatta di foglie cadenti
Come vecchi stanchi, cha ad uno ad uno cadono attorno a te,
reclinando il capo come spighe d'oro sotto la falce del contadino
o caro vecchio amico mio, anche per te è venuta la stagione del riposo.
Dimenticato in un angolo, la gente ti guarda
E non sa chi sei, non sa cosa hai fatto.
Non sa quante volte ti sei bagnato di rugiada, prima di entrare nel ventre della terra
Non sa quante volte ti sei coperto di petali di fiori, portati dal vento, da terre lontane
Non sa quanti tramonti abbiamo visto, io e te
Non sa quante volte abbiamo ascoltato il fragore delle tempeste, il mormorio dei ruscelli
Il canto del rosignolo e il vento nel grano
Solo io e te lo sappiamo
E soprattutto non sa e non conosce il nostro amore per la terra,
cara, dolce, amica, sorella, madre terra.
Solo io e te lo sappiamo, o caro, vecchio amico mio.

Poesia di quella che è stata una mezzadra carmignanese
Mi sento meglio. Mi sento meglio perché il mondo della mezzadria resterà vivo adesso. Finchè voi lo ricorderete.

Ora sono seduto in cima al viottolo e la fonte che mi ha dissetato nella mia giovinezza è dietro di me ma non butta più acqua e comunque porta sul muro una scritta sbiadita che dice "acqua non potabile". Ho davanti a me la casa dove sono vissuto per tanti anni….ora su quella che era l'aia ci sono parcheggiate macchine di persone che non conosco. L'hanno acquistata dal padrone, anni fa e l'hanno rimessa, anche bene. Ma manca di quella vita che io bene conosco perché chi ci abita ora non conosce la storia di quel noce che è piantato davanti, di quella pietra che esce dal muro, li, vicino a quella che era la porcilaia e che ora è l'appartamento per gli ospiti…….purtroppo non conosce…..

Finale

Quella che vi ho raccontato non è stata altro che una storia di povera gente…..a Carmignano questa tendenza al ricordo trova più facilmente che altrove le tracce delle proprie radici. Tanti sono gli elementi che le ricordano. E anche se in questi tempi moderni le impressioni accumulate tendono a perdersi rapidamente è pur vero che nel vivere il presente gli individui partecipano ogni giorno le relazioni con il proprio passato. In queste pratiche del ricordo, le esperienze del vissuto si rinnovano, dure e sofferte. Così, ognuno, cercando nel proprio armadio, può trovare un vestito rosso……proprio come quello della zia Gina.

Riferimenti
www.carmignanodivino.it - W. Fortini - Mauro Innocenti, L'ultimo mezzadro;
www.enzopruneti.com/mezzadria/mezzadriaindice.htm;
www.lecciculturadelvino.it;
Carmignano, quotidianità e istituzioni tra ottocento e novecento - F. Panerai………….
il contratto di mezzadria della Toscana medievale- G. Pinto e P. Cirillo - Ed Olschki 1987.
Colonna sonora
Le musiche sono tratte dalle colonne sonore dei seguenti film:
The island - musica scritta da Steve Jablonsky;
Il favoloso mondo di Amelie - musica scritta da Yann Tiersen;
Pinocchio - Musica scritta da Nicola Piovani
Ringraziamenti
Si ringraziano, come sempre, tutti i rionali che hanno partecipato a vario titolo e con tanto entusiasmo alla realizzazione di questa edizione del San Michele. Un ringraziamento particolare viene rivolto inoltre alle seguenti persone:
Mario Mecucci, perché ci ha fornito utili spunti per la realizzazione della sceneggiatura;
Berta Cavicchi, per il sostegno alla costruzione di spunti di riflessione poetici sul passato della mezzadria a Carmignano;
Cecilia Mazzanti e la sua Scuola di Ballo che ormai da lunga data ci aiutano nella realizzazione delle sfilate;
Ernesto Franchi, presente nella sfilata come figurante e i suoi oggetti di vita contadina e degli antichi mestieri;
Pino Juppa del Gruppo Archeologico Carmignanese per le sue trovate d'ingegno e disponibilità;
Tutte le voci recitanti, bambini compresi, che hanno speso il loro tempo per il nostro Rione;
Tutti i bambini presenti che sono il futuro del nostro Rione e un ringraziamento particolare a Gino Borgioli, il nostro Gino di Fico, che ci ricorda il nostro essere di carmignanesi e rionali e la necessità di non perdersi mai d'animo.

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Potete trovare tutte le foto da Foto Ottica RADAR via Vittorio Emanuele II Poggio a Caiano


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